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venerdì 16 febbraio 2018

Autophobia

the fear of being alone


E' stanco.

L'acqua scivola sulla pelle troppo pallida mentre piazzato sotto la doccia cerca di scacciare da dietro le palpebre l'immagine di una bambina spaventata che probabilmente non lo dimenticherà mai.

E' stanco.

Mentre strofina l'asciugamano contro la testa rasata di fresco cerca di scacciare l'insistente desiderio di un bel bicchiere d'alcool, di una dose di dolce liquido della memoria, o magari della sublime sensazione di confusione che solo alcune sostanze possono dare.

E' stanco.

Quando chiude gli ultimi bottoni della camicia nera si guarda allo specchio e si costringe a concentrarsi su i propri occhi, ripetendosi mentalmente di non essere un mostro, che è il male minore e che il fine giustifica i mezzi. Non faranno male a quelle persone.

E' stanco.

Qualcuno nello spogliatoio gli passa accanto chiacchierando. E' una donna dalla pelle azzurra che chiacchiera con un ragazzo. Nevermore se ne è andata, lo dice con tranquillità mentre si siede su uno sgabello. Nevermore è stata mandata in Guyana, non tornerà mai più.

E' stanco.

Si lascia cadere sulla panca di legno in un cigolio sinistro, le mani vanno a circondare il viso. Non ha la forza di reagire alla notizia come vorrebbe, strofina i polpastrelli contro le palpebre e quando apre gli occhi il mondo è confuso. Sente sulla pelle il desiderio tornare a pizzicarlo, morderlo con voracità dalla bocca dello stomaco ed è costretto ad alzarsi di scatto chiudendo l'armadietto con forza, spaventando le due mutanti poco lontano.
Quando Lascia lo spogliatoio è convinto di sentirle sospirare di sollievo. E' stanco, ma non abbastanza da vietarsi un viaggio fino al Desert Side, l'angolo più remoto del bar lo accoglie come un rifugio sicuro. Si dedica alla bottiglia come se fosse la sua amante, beve talmente tanto da non ricordare come è tornato a casa, la mattina dopo, le mani nere di cenere, la maglia che puzza di alcool e il dolore incessante al petto che lo porta quasi ad urlare, curvo tra le lenzuola.

E' stanco.





venerdì 19 gennaio 2018

Dover - 23.11.26

- Quindi te ne stai andando?

Irina ha il tono soffice di chi ha perdonato ogni cosa, ogni sguardo vuoto che le ha rivolto e carezze sciape che le ha dato. Lui la osserva con lo sguardo sorpreso di chi fissa un'opera d'arte, un gioiello prezioso che non può nemmeno toccare, dietro una teca di vetro.

- Yuri mi ha chiesto di riprenderli, non di restare qui.
- Ma per noi tu sei il nuovo Tatal del clan..

Scuote il capo accennando una risata mentre la mano si preme contro il petto magro, le dita strofinano il tessuto contro la pelle pallida, gli occhi fissano un punto indefinito sull'asfalto bagnato, qualcuno poco lontano sta suonando il violino e lui sorride chiudendo gli occhi.

- Ravi è un brav'uomo, ha ricostruito e aiutato i cugini, no?
- Si, ma che c'entra?
- Ravi è un buon Tatal, ha sposato te, che sei stata mia moglie prima, de drept lo accetta.

Quando riapre gli occhi lei lo guarda con biasimo, non con rabbia o con fastidio, non con quell'affilata occhiata carica di nervosismo che gli rivolgeva quando erano sposati, lo fissa con il dolore di chi sta perdendo qualcosa e fa male, di chi comprende e lascia andare, è lei a chiudere gli occhi adesso, per prendere un respiro profondo e riaprirli, lo guarda come mai ha fatto e allunga le mani per sfiorare il volto di lui, spingendolo a fissarla.

- Avrei voluto amarti come meritavi Irina
- Lo stai facendo prendendoti cura dei nostri gioielli.
- Sono di nuovo solo
- Non sarai mai solo

Non piange da anni, pensava di non poterlo più fare e con un pensiero irrazionale immagina che quella lacrima sia di lei, come quella sera dopo la morte di Ylenia, la sera del loro primo bacio.
Qualcuno suona il violino e lei sorride ritirando le mani che non l'hanno mai sfiorato, nel suo vestito bianco accenna una risata e scuote il capo, ride di lui e dei suoi sogni ad occhi aperti. Qualcuno esce dalla roulotte sui cui scalini si è seduto, si fa da parte per lasciar passare Ravi che gli posa una mano sulla spalla stringendola forte prima di allontanarsi, distrutto. Lui, in abito elegante, si volta nuovamente verso Irina, ma non c'è nessuno.

I fantasmi gli hanno dato il permesso, può tornare a Philadelphia.

Dover - 13.08.26

Il campo è in fiamme. 
Il campo è in fiamme e lui non riesce a spegnerle.
Le donne piangono e abbracciano uomini a terra.
Il suo sangue è sparso per le strade.
Il sangue del suo sangue.

Vadir

Ha seguito l'odore della morte e della paura fino al vagon di suo nonno, si è trascinato con le mani sporche di cenere e sangue fino ai gradini lavorati di una roulotte che fin dai primi passi è stata la sua casa, un porto sicuro dove rifugiarsi. Perchè nonostante il dolore Yuri è sempre stata la sua unica famiglia.

Vadir

Yuri Kopanari giace a terra, il sangue che si allarga sulla maglia, gli inumidisce il petto largo e le mani grandi non riescono a trattenerlo. Sta morendo. Si china su di lui premendo su quel sangue, cercando di trattenerlo senza successo. Trentasette minuti. Si è allontanato per trentasette minuti e questo è ciò che l'ha aspettato al ritorno, la rabbia cieca di chi odia il diverso, di chi lo considera una minaccia. Qualcosa da trasformare in cenere.

Inger ... ha provato.
Inger ha cercato di fermarli.
Li hanno presi, tutti i nostri gioielli.
Vadir, riprendi ciò che è nostro.
ciò che è tuo.

La voce profonda di Yuri ora è sporcata da gorgoglii, sembra che stia affogando, ma non c'è acqua. Si china sul suo petto e annuisce lentamente senza parlare, non ha più voce per dire nulla, non ha più fiato, solo una rabbia cieca che lo scuote fin nelle ossa e gli fa stringere i denti fino a rischiare di romperli. Yuri soffia l'ultimo alito di vita contro il suo volto e lui lo lascia a fatica per uscire a cercare di spegnere le fiamme. Le fiamme di un Clan sterminato di cui lui per nascita è ora capo.

Cosa faremo ora Vadir?
Qual'è il nostro destino?
Guidaci nei giorni bui.
Lasciaci liberi nei giorni di gioia.
Solo per ora, fino alla nostra vendetta.
Saremo il clan fantasma delle fiamme blu.


martedì 9 gennaio 2018

R u gonna die?

Tata, r u ok?

Vladyslav ha la voce sottile di chi ha paura, le mani piccole e morbide che si posano sul ginocchio di lui che, curvo sul tavolo, si stringe la maglia ad altezza del petto.

È ok.

Lo dice tra i denti mentre il sudore freddo gli imperla la fronte, la mano libera si stringe a pugno sul tavolo, le spalle si alzano e chiude gli occhi contando mentalmente fino a dieci, cercando di riprendere coscienza di se, di non svenire per il dolore.

Chiamo Inger?

Vladyslav non sa che fare, è un bambino e ovviamente punta a cercare la figura che, subito dopo il padre, lei considera come principale, colei che sa sempre cosa fare.

No. Vlad, sto bene.

Non ha un figlio scemo. Lo sguardo che gli regala è si carico di apprensione, ma anche decisamente "no shit".

Ora passa.

Lo specifica per dare una spiegazione alla sua bugia, gli occhi su di lui mentre il dolore scema, i muscoli restano contratti e lui chiude gli occhi posando la testa contro il tavolo, cercando riposo. Inspira e torna a osservare il bambino subito dopo, sorridendo stanco.

Visto? Solo.. solo un po' di mal di stomaco, bevuto troppo.
Tu non morirai, vero?
Cos?

Aggrotta la fronte fissando il bambino con le lacrime agli occhi, le mani strette tra loro e il labbro tremolante. Sospira allungando le braccia per stringerlo a se. Ha il fiato che manca, ma non se ne cura, stringe a se il bambino con tutte le forze che gli rimangono.

No, non morirò.
We don't want to be alone
Non siamo soli.

La voce di Brendan gli entra nelle orecchie, il ricordo dei suoi gesti continui, del suo volto stanco e della sua calda determinazione.

Non saremo più soli.

Specifica, baciando i capelli del bambino. Forse non è un clan, ma è ciò che più si avvicina ad una famiglia.

sabato 23 dicembre 2017

Philly

Alza il volume della radio mentre supera il cartello stradale che da il benvenuto a Philadelphia, città dove tutto è crollato e che ha abbandonato con la coda tra le gambe trascinandosi via non solo la sua casa su quattro ruote, ma anche tutto ciò che possedeva, ritrovandosi ora a tornare su i suoi passi con la schiena rotta e il petto che fa troppo male.

- Non mi piace questa canzone.
- Pensavo dormissi.

Abbassa il volume, senza togliere la mano dalla piccola manopola nera accanto allo schermo verde della radio, tentenna e infine lascia andare, riportando la mano sul volante, il volto stanco e il corpo abbandonato sul sedile. Ha guidato per così tanto tempo che non sente quasi più le gambe.

- Siamo arrivati?
- Ancora un oretta prima di raggiungere il Luna Park, ti piaceva li, no?
- Rivedremo Jo?
- Non lo so, ma sicuramente aggiusteremo un po' le cose, abbi fiducia.

Il silenzio in risposta gli fa aumentare il peso sul petto, socchiude gli occhi mentre continua a guardare la strada, concentrandosi solo ed esclusivamente su di essa, dietro di lui la roulotte è immersa nel buio, non una luce o un segno di vita vera.

- We are Freak, tata?

Ha un dejavù, le mani tremano mentre stringe il volante dell'auto. La fronte aggrottata e la determinazione nello sguardo.

- Da, Freak and Proud.

Risponde con lo stesso tono con cui rispose nemmeno un anno prima, come se cercasse lo scontro contro qualcuno di invisibile avanti a se, pronto a scommettere sulle sue stesse parole. Inspira profondamente ingoia un grumo di saliva che fatica  a scendere.

- Saremo al sicuro li?


giovedì 11 maggio 2017

Fears

Ma tem.

Non risponde subito mentre allunga la mano e accoglie il bambino nel suo letto matrimoniale, in quella roulotte non ancora completa. Vadislav ha il suo letto, a castello, posto sotto quello della sorella maggiore - che dorme profondamente sotto le coperte colorate che hanno comprato il giorno prima. Sta spendendo tutti i soldi che possiede per personalizzare quella roulotte, si sta impegnando così tanto per renderla sicura e adatta ai bambini.

Sai che non c'è niente di cui aver frica, vero Vlad?

Lascia che il bambino si accoccoli sotto la coperta, abbracciato a lui, il volto nascosto contro il suo petto.

Un copil al campo ha detto che moriremo tutti, io non voglio morire tata..
Nessuno morirà Vlad, l'ha detto solo per spaventarti.
Ma.. e se dice adevarul?
Tata è con te e con Inger, non vi succederà mai nulla.
Possiamo tornare acasa?
Vlad...

Lo stringe a se, chiude gli occhi cercando nella sua testa una risposta plausibile, un modo per non dirgli no e al tempo stesso dirglielo ugualmente. 

È questa casa ora.
Ma non c'è familie
Ne stiamo costruendo una nuova, un po' diversa, ma nuovissima.. per ora siamo stati con Yuri, ma dobbiamo crearne un grup nostro, uno dei focurile albastre.
Ma io quello con la faccia rossa non lo voglio nel mio grup..
Non penso ne farà parte.. ma Vlad... tutti i Freak sono benvenuti nel nostro clan, ti piacerebbe se ti lasciassero da solo perché fai fuoco blu e fai paura?
Nu!
Ecco. Ora dormi, è tardi. Domani ti porto da Neverland, mh? Prendi un nuovo libro.
Ok..

Accarezza i capelli biondicci mentre fissa il buio avanti a se, il tessuto colorato che ha attaccato alle pareti insieme a monete portafortuna, stringe a se il bambino e prega di sognare cavalli bianchi, per poi recuperare il cellulare mandando un messaggio.

martedì 18 aprile 2017

Freak and proud

Un viaggio di almeno due giorni. Quindici ore seduto davanti al volante del vecchio furgone, anche quando era notte e gli sarebbe bastato strisciare sul materasso nel retro. Ha le mani strette intorno al volante del furgone anche quando aspetta un ora e cinque minuti alla vecchia stazione di servizio dove ha appuntamento con Ravi. È uno scambio nel cuore della notte come il peggio dei ladri e spacciatori che l'ha reso nervoso e agitato.
Quando Ravi riparte sgommando con il vecchio pick-up giallo canarino lui rilassa le spalle e prende un profondo respiro di sollievo aprendo le mani e sbrogliando quei pugni dolorosi.

And now?

Perde quindici minuti a fissare il nulla oltre il parabrezza mentre quattro occhi chiari lo guardano dallo specchietto retrovisore cercando risposte che non sa. Chiude le labbra in una linea sottile e cerca di recuperare una risposta quantomeno accettabile.

We can handle it.

Ma non ne è sicuro, e la voce dietro di lui pare saperlo, e replica in tono quasi arreso una verità che gli fa comprendere tutto, che gli da risposte che non vorrebbe avere.

mama is pregnant.
Oh.
We ar freak tata?

Stringe le labbra, lancia uno sguardo ai due bambini seduti sul materasso dietro le sue spalle e alza il mento in un gesto di stizza, nemmeno cercasse uno scontro.

Da. Freak and proud.
Niciodatā mai sclav.

Il coro di voci lo fa sorridere, l'orgoglio che ha avvertito in esse gli riempie il cuore di certezze, sciogliendo ogni dubbio. Ce la può fare, non ha bisogno di niente ed è in grado di prendersi cura del suo clan, annuisce ai suoi stessi pensieri inserendo la marcia e partendo, direzione Philly.

giovedì 6 aprile 2017

Heart

Quando rientra nel furgone ha ancora il fiatone e la sensazione di un peso al centro del petto, si sdraia nel centro del materasso con le braccia aperte e gli occhi chiusi, le punte dei piedi premono contro i portelloni del furgone che si è chiuso alle spalle cinque minuti prima -e gli sembra una vita fa-. Il telefono è nella tasca del bomber e gli ci vuole qualche istante di troppo per recuperarlo quando inizia a suonare e nonostante il fiato corto risponde senza indugio e senza guardare il nome sul display.

- Ta'?

La voce di bambina gli scivola nell'orecchio come un serpente velenoso, infilandosi nel cervello dolorosamente. Chiude gli occhi e inspira cercando di regolare la voce, non vuole apparire stanco, tutt'altro.

- Hey Ingerul meu, come stai? Dove cazzo hai preso un telefono?
- Strab' Yuri pensava di averlo nascosto bene, ma io sono più brava di lui sai?
- Lo so che sei brava Inger, ma vedi di non far incazzare Yuri.
- Pensi che sono scema come te?

Ha otto anni e un cervello che gira meglio del suo. Con un mugolio si mette seduto, schiena curva e aspetto trasandato, osserva le foto attaccate alla parete di metallo accanto a lui, illuminate dalla luce che scivola dai finestrini. Chiude gli occhi e finge di essere li, di essere al campo, di poter aprire la porta e vederli tutti, pronti a dargli uno spintone o una pacca sulla spalla. Anche un cazzotto, perchè no.

- No Inger, non sei una scema, Yuri è ancora incazzato?
- Non vuole nemmeno che ti nominiamo, non davanti a lui almeno, ha detto che se ti vede ti spara e che sei un tradator.
- Mandalo a fanculo, sai che non è vero...me ne starò un po' per cazzi miei, mi faccio il mio clan, me lo creo, ho trovato un buon posto, troverò presto un buon giro di lavoro, qualche donna e poi..
- Mi manchi Ta'
- ...

Si toglie il cappellino passandosi una mano tra i capelli rasati. Alza gli occhi a fissare nuovamente le foto e sofferma lo sguardo su quella che ritrae la bambina al telefono, capelli castani legati in una coda alta, un fiocco giallo a tenerli fermi.

- Andrà tutto bene, tornerò presto.
- E con Strab come si fa?
- Un modo si trova, ok? Non fare la pessimista, il Texas non è poi così lontano da dove sto ora e..
- Non siamo in Texas.
- E dove siete?
- Boh, ma so che hanno cambiato città dopo che sei andato via, stiamo viaggiando da un'altra parte.

Stringe le labbra e si alza, mettendosi in ginocchio sul materasso, cercando di dare una regolata al nervosismo che gli scivola sul corpo entrandogli sotto pelle, rischia di sbattere la testa contro il soffitto del furgoncino, ma si mette in piedi e preme una mano contro il metallo, le fiammelle azzurre scorrono tra le dita come acqua.

- Quando sai dove siete fammelo sapere, ok? Ok?
- Ok Ta', è ok..te lo faccio sapere.
- Brava bambina
- Mama ha detto che c'hai la roba, la respo..respisabile? dice che di stare vicino Strab in questo stato è pericoloso, per noi..non per, hai capito no?
- Draga...
- Lo dice Mama, non io, dice che dobbiamo venire da te, se diventa troppo, Vady ha rischiato l'osso oggi e Ravi non gliene fotte molto.

Torna a sedersi sul materasso, porta le mani contro la fronte, un'altra occhiata alla raccolta di foto e una bestemmia a labbra socchiuse mentre sembra cercare di ragionare, di riportare un minimo di senso nella sua mente, ma non ci riesce davvero, tutt'altro. Sospira, posa la testa contro il metallo della parete dietro di lui e chiude gli occhi.

- Vedrò di trovare una soluzione, ok? Sai che il vecchio furgone è piccolo, cazzo, Ravi  una cazzo di cosa doveva fare, gli ho dato Mama, doveva solo badare ad una cazzo di cosa..io..
- E' ok se non ci vuoi Ta'.
- Non è questo, non dire questo, non ho detto questo ok? Devo solo mettere i soldi da parte, prendere un furgone più grosso e poi tu e Vad potete venire, ma ho bisogno di tempo.
- Ok, lo dico a Mama...ma ora devo andare, che rimetto il telefono da Strab, così non pensa che l'ho usato.
- Cancella il numero prima, e draga...ti voglio bene, ok? Ti voglio bene Ingerul Meu.
- Non fare il frocio Ta'

Ride, e la voce gli si blocca in gola, mentre chiude la chiamata lasciandosi andare in una tosse senza precedenti. La sua risposta per calmarla e aprirsi una lattina di birra e ingurgitarne metà mentre si massaggia il petto.
Ha solo bisogno di un tempo che non ha e di soldi di cui non sente nemmeno l'odore.

Fanculo.

lunedì 3 aprile 2017

Philadelphia

Inciampa fuori dal grosso furgone verde militare rischiando di cadere addosso a Yuri che, con la mano ancora alzata, sembra essere in procinto di tirargli un cazzotto.
- Muovi il culo, si parte.
Ha imparato con il tempo e con il dolore a non fare domande, a non chiedere nulla, ma fare semplicemente ciò che viene ordinato dal vecchio, come un soldato di fanteria pronto a rimetterci entrambe le mani. Ed è per questo che rientrando nel furgone sveglia la giovane donna arrotolata tra le lenzuola del materasso di quella piccola casa mobile di fortuna, riesce a mandarla via con gentilezza, ma celermente ed é un qualcosa che si ricorderà per sempre, come continua a ripeterle giurandole un amore eterno che non esiste.
In meno di mezz'ora è pronto per partire, ma nonostante questo é certo che il vecchio Yuri avrà qualcosa da ridire, non ha idea di quale sarà la prossima tappa, non lo sa mai, sono le tre del mattino e l'aria è talmente frizzante che rabbrividisce un paio di volte stringendosi nelle spalle, ed é proprio in quel momento che si rende conto che qualcosa proprio non va, nemmeno un po’.
- Perché cazzo hai smontato tutto Vadir?
Cugino Ricky glielo chiede dalla veranda della sua bella roulotte a tre posti, fumandosi una sigaretta seduto in mutande su una sedia di plastica curvata dal troppo peso. Ha bevuto ancora, se non fosse per la lontananza sentirebbe l'odore di vodka da lontano. Picchia la moglie il giovedì e la domenica, quando ci sono le partite e la sua cazzo di squadra finisce sempre ultima in classifica. Dovrebbero vincere, almeno una volta, giusto per fare un piacere alla povera Karin.
- Ma come, non si parte?
- Tuo nonno te l'ha messo in culo, senti a me, ci spostiamo tra due mesi verso il Taxas, l'abbiamo deciso ieri sera.
Odia fare domande a Yuri, ma questa volta deve. Non é un qualcosa ce può decidere di non fare, non adesso quantomeno. Fermarsi davanti alla vecchia roulotte in cui é cresciuto lo mette leggermente a disagio, ma supera velocemente la brutta sensazione con un sospiro che gli scuote il petto magro. Batte un paio di colpi sulla porta di metallo e indietreggia subito dopo, aspettandosi l'apertura che da li a qualche istante avviene. Yuri é suo nonno, il padre di sua madre - la puttana -, ha i capelli ingrigiti dal tempo, le braccia robuste e dei baffi folti, ha il potere di guardare Vadir con uno sguardo contrito e infastidito da sempre, mai cambiata espressione in venticinque anni.
- Hai preparato tutto?
- Si…ma Ricky ha detto che non ci spostiamo per almeno due mesi.
- Noi, non ci spostiamo per almeno due mesi, tu te ne vai stasera.
- Cosa?
Non si questiona mai su ciò che il vecchio Yuri decide, non si dice mai di no e tantomeno ci si azzarda ad alzare il tono, eppure lui riesce a fare tutto questo in una sola parola. Scuote la testa,, confuso, pentendosi subito dopo di ciò che a fatto, senza però avere modo di rimediare. Il primo cazzotto arriva alla tempia sinistra e lo fa crollare, tenendosi una mano sul volto. Il resto sono calci che assorbe arrotolandosi su se stesso, proteggendo il ventre e la testa con le mani.
- Perché te lo dico IO, fanculo…brutto aborto figlio di un cane! Te ne devi andare, devi andartene via, vaffanculo, ti voglio via di qui. Tu, il tuo furgone, le tue puttane e la tua cazzo di droga. Non servi a un cazzo, ti voglio lontano da questo clan. Non sei un Ludari, mi hai capito? Sei il figlio di una traditrice e di chissà quale dannato rifiuto della società. Prendi il tuo furgone e vattene! ORA!
Il rumore della porta di metallo che si chiude é quasi piacevole, visto ciò che ha subito fino a quel momento. Sospira e si stende, schiena contro il terreno dello spiazzo in cui si sono accampati e sguardo al cielo. Gli fa male un braccio, ma passerà, ha il sapore del sangue sulla lingua, ma passerà anche quello. Quando, due ore dopo, torna nel suo furgone non dice nulla e mette in moto sgommando tra la terra per allontanarsi dallo spiazzo del campo prima che qualcuno possa notare l'enorme pene che ha disegnato con una bomboletta spray sulla facciata della vecchia roulotte di Yuri, seguito dalla frase “Fuck you - you fucking fuck!”.
Dopo questo tornare indietro é impossibile, almeno per il prossimo anno deve stare lontano dal Texas. Imbocca l'autostrada, punta verso Philadelphia guidando come un pazzo e ridendo, con i denti sporchi di sangue e le costole che fanno un male cane.
Niciodatā mai sclav, asshole.