sabato 27 gennaio 2018

Freak and Proud

 - Le avevo chiesto di scappare con me.

Mentre torna verso casa, le mani nelle tasche della giacca di pelle, pensa a quel giorno, quando prima di partire aveva fatto l'amore con lei l'ultima volta è qualcosa si ferma, un grumo di dolore alla base della gola che non riesce a scacciare e che lo soffoca finché non arriva davanti al Wagon, gli occhi fissi sulla sua casa mentre le parole di lei gli scivolano nelle orecchie come serpenti, mescolate alle notizie di chi la da per morta. Scomparsa.

- Hanno bisogno di me.

La poca luce della strada illumina il metallo del caravan, si intravedono i segni neri di scritte razziste che ha strofinato via con rabbia e che lui riesce ancora a vedere.

- Magari un giorno...

Inspira e trattiene il fiato, quando chiude gli occhi per trattenere quella rabbia che lo fa tremare si disegnano davanti a lui figure famigliari.
C'è chi con i capelli ricci e brizzolati apre e chiude un pacchetto di sigarette in modo spasmodico, c'è una donna bionda che doveva essere bellissima un tempo, ma ora sembra un fantasma, una ragazza dagli occhi tristi che finge che tutto vada bene e un uomo ferito nel corpo e nell'anima, più vecchio di quanto non sembri.

 Poi c'è lei, un giorno d'estate, che lo guarda con il sorriso sulle labbra. La sua Susan che gli sfiora le labbra con le proprie.

- A presto.

Si siede sui gradini della roulotte e accende una sigaretta in barba alle promesse a Calliope.

Sapeva che non l'avrebbe rivista mai più. Lei lo sapeva e ricorda perfettamente il desiderio di starle accanto, di affrontare quella battaglia con lei, di fare qualcosa di buono che significasse, che restasse nella sua anima, che lo riscattasse agli occhi del mondo.

Ma non era la sua guerra, non era la sua gente e non era la sua città.

Si fissa il tatuaggio scheletrico sul dorso della mano e aggrotta la fronte allungando le dita verso il buio, osserva le fiamme bluastre arrampicarsi tra le dita e chiude la mano accogliendole come una carezza.

- Freak and proud.

Ci è voluto un po', ma l'ha capito. 

venerdì 19 gennaio 2018

Dover - 23.11.26

- Quindi te ne stai andando?

Irina ha il tono soffice di chi ha perdonato ogni cosa, ogni sguardo vuoto che le ha rivolto e carezze sciape che le ha dato. Lui la osserva con lo sguardo sorpreso di chi fissa un'opera d'arte, un gioiello prezioso che non può nemmeno toccare, dietro una teca di vetro.

- Yuri mi ha chiesto di riprenderli, non di restare qui.
- Ma per noi tu sei il nuovo Tatal del clan..

Scuote il capo accennando una risata mentre la mano si preme contro il petto magro, le dita strofinano il tessuto contro la pelle pallida, gli occhi fissano un punto indefinito sull'asfalto bagnato, qualcuno poco lontano sta suonando il violino e lui sorride chiudendo gli occhi.

- Ravi è un brav'uomo, ha ricostruito e aiutato i cugini, no?
- Si, ma che c'entra?
- Ravi è un buon Tatal, ha sposato te, che sei stata mia moglie prima, de drept lo accetta.

Quando riapre gli occhi lei lo guarda con biasimo, non con rabbia o con fastidio, non con quell'affilata occhiata carica di nervosismo che gli rivolgeva quando erano sposati, lo fissa con il dolore di chi sta perdendo qualcosa e fa male, di chi comprende e lascia andare, è lei a chiudere gli occhi adesso, per prendere un respiro profondo e riaprirli, lo guarda come mai ha fatto e allunga le mani per sfiorare il volto di lui, spingendolo a fissarla.

- Avrei voluto amarti come meritavi Irina
- Lo stai facendo prendendoti cura dei nostri gioielli.
- Sono di nuovo solo
- Non sarai mai solo

Non piange da anni, pensava di non poterlo più fare e con un pensiero irrazionale immagina che quella lacrima sia di lei, come quella sera dopo la morte di Ylenia, la sera del loro primo bacio.
Qualcuno suona il violino e lei sorride ritirando le mani che non l'hanno mai sfiorato, nel suo vestito bianco accenna una risata e scuote il capo, ride di lui e dei suoi sogni ad occhi aperti. Qualcuno esce dalla roulotte sui cui scalini si è seduto, si fa da parte per lasciar passare Ravi che gli posa una mano sulla spalla stringendola forte prima di allontanarsi, distrutto. Lui, in abito elegante, si volta nuovamente verso Irina, ma non c'è nessuno.

I fantasmi gli hanno dato il permesso, può tornare a Philadelphia.

Dover - 13.08.26

Il campo è in fiamme. 
Il campo è in fiamme e lui non riesce a spegnerle.
Le donne piangono e abbracciano uomini a terra.
Il suo sangue è sparso per le strade.
Il sangue del suo sangue.

Vadir

Ha seguito l'odore della morte e della paura fino al vagon di suo nonno, si è trascinato con le mani sporche di cenere e sangue fino ai gradini lavorati di una roulotte che fin dai primi passi è stata la sua casa, un porto sicuro dove rifugiarsi. Perchè nonostante il dolore Yuri è sempre stata la sua unica famiglia.

Vadir

Yuri Kopanari giace a terra, il sangue che si allarga sulla maglia, gli inumidisce il petto largo e le mani grandi non riescono a trattenerlo. Sta morendo. Si china su di lui premendo su quel sangue, cercando di trattenerlo senza successo. Trentasette minuti. Si è allontanato per trentasette minuti e questo è ciò che l'ha aspettato al ritorno, la rabbia cieca di chi odia il diverso, di chi lo considera una minaccia. Qualcosa da trasformare in cenere.

Inger ... ha provato.
Inger ha cercato di fermarli.
Li hanno presi, tutti i nostri gioielli.
Vadir, riprendi ciò che è nostro.
ciò che è tuo.

La voce profonda di Yuri ora è sporcata da gorgoglii, sembra che stia affogando, ma non c'è acqua. Si china sul suo petto e annuisce lentamente senza parlare, non ha più voce per dire nulla, non ha più fiato, solo una rabbia cieca che lo scuote fin nelle ossa e gli fa stringere i denti fino a rischiare di romperli. Yuri soffia l'ultimo alito di vita contro il suo volto e lui lo lascia a fatica per uscire a cercare di spegnere le fiamme. Le fiamme di un Clan sterminato di cui lui per nascita è ora capo.

Cosa faremo ora Vadir?
Qual'è il nostro destino?
Guidaci nei giorni bui.
Lasciaci liberi nei giorni di gioia.
Solo per ora, fino alla nostra vendetta.
Saremo il clan fantasma delle fiamme blu.


martedì 9 gennaio 2018

R u gonna die?

Tata, r u ok?

Vladyslav ha la voce sottile di chi ha paura, le mani piccole e morbide che si posano sul ginocchio di lui che, curvo sul tavolo, si stringe la maglia ad altezza del petto.

È ok.

Lo dice tra i denti mentre il sudore freddo gli imperla la fronte, la mano libera si stringe a pugno sul tavolo, le spalle si alzano e chiude gli occhi contando mentalmente fino a dieci, cercando di riprendere coscienza di se, di non svenire per il dolore.

Chiamo Inger?

Vladyslav non sa che fare, è un bambino e ovviamente punta a cercare la figura che, subito dopo il padre, lei considera come principale, colei che sa sempre cosa fare.

No. Vlad, sto bene.

Non ha un figlio scemo. Lo sguardo che gli regala è si carico di apprensione, ma anche decisamente "no shit".

Ora passa.

Lo specifica per dare una spiegazione alla sua bugia, gli occhi su di lui mentre il dolore scema, i muscoli restano contratti e lui chiude gli occhi posando la testa contro il tavolo, cercando riposo. Inspira e torna a osservare il bambino subito dopo, sorridendo stanco.

Visto? Solo.. solo un po' di mal di stomaco, bevuto troppo.
Tu non morirai, vero?
Cos?

Aggrotta la fronte fissando il bambino con le lacrime agli occhi, le mani strette tra loro e il labbro tremolante. Sospira allungando le braccia per stringerlo a se. Ha il fiato che manca, ma non se ne cura, stringe a se il bambino con tutte le forze che gli rimangono.

No, non morirò.
We don't want to be alone
Non siamo soli.

La voce di Brendan gli entra nelle orecchie, il ricordo dei suoi gesti continui, del suo volto stanco e della sua calda determinazione.

Non saremo più soli.

Specifica, baciando i capelli del bambino. Forse non è un clan, ma è ciò che più si avvicina ad una famiglia.

martedì 2 gennaio 2018

Happy New Year

Il piazzale del Luna Park è desolato, i mutanti che cercavano riparo da occhi indiscreti si sono fatti più attenti, sono scappati per non farsi vedere. Hanno paura.
Lui sta invece portando fuori dalla roulotte un tavolo, ha trascinato -e non con fatica- un barile di metallo recuperato da dietro la ruota panoramica e l'ha piazzato a cinque metri dalla roulotte, accendendo un fuoco al suo interno dopo aver forato il fondo, così da creare un braciere adatto a riscaldare quantomeno i bambini.
Tavolo, un paio di sedie e trascina i bambini fuori, perchè è quasi mezzanotte e il mondo sta cambiando. Ancora.

- Vlad, appendi le erbe!

Alza la voce, dimentica di essere prudente, almeno stanotte vuole stare bene, vuole essere felice, spensierato, come quando era nel clan, quando tutti si guardavano le spalle e c'erano canzoni ogni sera.

- Non trovo i nastri rossi! TATAAA

Inger è più agitata di tutti, ha i movimenti scattanti di chi si aspetta troppo dalla giornata e lui non può fare a meno di sorridere mentre ritrova i nastri sotto il divanetto della roulotte e si impegna a legarli intorno ai polsi dei bambini, mentre loro lo legano intorno al suo polso.

- Hamburger e patatine, ma solo stanotte, solo perchè avete fatto i bravi. Hey, magari qualche fata vi porta dei regali.

Ipotizza, stringendosi nelle spalle mentre i bambini saltellano sul posto e lui cerca qualcosa per fare musica. I preparativi sono concitati, il cibo è quello che è, ma nessuno protesta, la serata prosegue tranquilla e lui è costretto a scuotere entrambi quando è quasi mezzanotte e loro sono crollati -anche Inger- addormentati contro le sue gambe.

- I Fuochi! I Fuochi!!

Vladyslav si nasconde dietro di lui, anche se non ammette di essere spaventato dai botti, Inger gira su se stessa ridendo come non mai e lui si avvicina al bidone rimboccando il fuoco con le dita, una fiammata blu che si alza verso il cielo per pochi istanti mentre lui torna verso la sedia, lasciandosi cadere su di essa con un sospiro. Urla e risate lo allontanano dalla realtà, quando un paio di Freak si avvicinano incuriositi li invita ad unirsi, alza la musica e qualcuno porta degli avanzi, si fa festa in pochi e per poco tempo, prima che la paura torni e tutti si rinchiudano nei loro antri, alle due il silenzio regna già sovrano, i bambini dormono su i divanetti all'interno, lui sgombera il piazzale con l'aiuto di un mutante con la pelle viola che gli svela, con voce sibilante, che entro la mattina se ne andrà nella Ghost Road a cercare un appartamento da occupare e che conviene anche a lui spostarsi, lui guarda il cielo sereno e ricorda le parole dei fantasmi del passato che ha incontrato negli ultimi giorni, ma ricorda anche l'aspetto di quella strada desolata e il volto di quei fantasmi.

Resta dove ci sono canzoni.
Non può andare nel Desert Side
I morti non cantano.