venerdì 29 dicembre 2017

Ghosts

- Mi prendono! Mi prendono!
- Inger..Inger..
- Mă iau, tată!
- Inger, sono qui, sono qui..

Abbraccia la bambina che piange contro il suo petto, le lacrime che gli bagnano la maglietta del pigiama e i singhiozzi che le scuotono la schiena. Il fratello si sveglia confuso, affacciandosi dal suo letto a castello per chiedere cosa succede e l'unica cosa che lui può fare è scuotere il capo, facendogli cenno di tornare a dormire.

- Va tutto bene, stai bene
- I'm scared!
- Lo so, ma io sono qui ora, niente più nightmare, ok?

Accarezza i capelli biondi della figlia, accettando di trascinarsela nel letto matrimoniale, permettendole di stringersi a lui. Inger non dorme più bene dopo quello che è successo a Dover, ma alla fine quello che sta passando le notti insonni con lei è lui. Alle cinque del mattino si siede al tavolino, guardando fuori dal finestrino coperto dalla grata di metallo che ha dovuto aggiungere durante la guerra, fissa il luna park abbandonato e le figure scure che camminano tra le giostre e si chiede se è quello il futuro che può dare ai suoi figli, non sa rispondersi e scola lattine di birra cercando una soluzione a tutto.
A Inger e ai suoi incubi.
Al dolore al petto e al fiato corto.
Alla mancanza di soldi.
Alla roulotte rotta.
A Vladyslav che non sa ancora scrivere o leggere.
Al futuro incerto.
Al livido sul fianco e a Brendan che apre e chiude i pacchetti di sigarette.

L'unica soluzione che trova è coprirsi il viso con le mani e pregare per la prima volta suo padre, chiedergli più tempo, quel che basta per aggiustare almeno metà dei problemi che lo affliggono.

Resta li dove ci sono canzoni.
Resta li dove ci sono canzoni, mi piace.

sabato 23 dicembre 2017

Philly

Alza il volume della radio mentre supera il cartello stradale che da il benvenuto a Philadelphia, città dove tutto è crollato e che ha abbandonato con la coda tra le gambe trascinandosi via non solo la sua casa su quattro ruote, ma anche tutto ciò che possedeva, ritrovandosi ora a tornare su i suoi passi con la schiena rotta e il petto che fa troppo male.

- Non mi piace questa canzone.
- Pensavo dormissi.

Abbassa il volume, senza togliere la mano dalla piccola manopola nera accanto allo schermo verde della radio, tentenna e infine lascia andare, riportando la mano sul volante, il volto stanco e il corpo abbandonato sul sedile. Ha guidato per così tanto tempo che non sente quasi più le gambe.

- Siamo arrivati?
- Ancora un oretta prima di raggiungere il Luna Park, ti piaceva li, no?
- Rivedremo Jo?
- Non lo so, ma sicuramente aggiusteremo un po' le cose, abbi fiducia.

Il silenzio in risposta gli fa aumentare il peso sul petto, socchiude gli occhi mentre continua a guardare la strada, concentrandosi solo ed esclusivamente su di essa, dietro di lui la roulotte è immersa nel buio, non una luce o un segno di vita vera.

- We are Freak, tata?

Ha un dejavù, le mani tremano mentre stringe il volante dell'auto. La fronte aggrottata e la determinazione nello sguardo.

- Da, Freak and Proud.

Risponde con lo stesso tono con cui rispose nemmeno un anno prima, come se cercasse lo scontro contro qualcuno di invisibile avanti a se, pronto a scommettere sulle sue stesse parole. Inspira profondamente ingoia un grumo di saliva che fatica  a scendere.

- Saremo al sicuro li?